Ninetta mia crepare di maggio
ci vuole tanto, troppo coraggio.
Ninetta bella dritto all'inferno
avrei preferito andarci d'inverno.
Mi approssimo al cambio di data e faccio piani, senza pronostici.
Ho ingoiato rospi che pensavo non sarebbero mai passati per l’esofago, guardato in faccia persone a cui ho saputo dare un nuovo sostantivo identificativo, e cercato invano abbracci che mi auguravo fossero ristoratori.
Bastare a me stessa e fare di questa forza il punto di incontro con il resto della comunità: mi sembra questo l’ossimoro salvifico da perseguire. E ogni percorso sarà un atto di fede.
E ogni atto di fede richiederà fiumi di coraggio.
Creatività e coraggio sono sempre andati di pari passo. La prima ha supportato il secondo, e viceversa, tutte le volte che una campagna non ha solo provato a orientare decisioni d’acquisto ma cambiare immaginari nel mondo.
Nel loro piccolo, il collettivo Creative Courage, ha creato un movimento coinvolgendo artisti, illustratori e designer per creare gif creative e sensibilizzare gli americani al voto. E ora che Trump sta per entrare alla Casa Bianca stanno affilando le armi su tutte le tematiche più importanti su cui vale la pena alzare il tasso di attenzione.
Una gif non potrà cambiare il mondo. Ma il coraggio che ci vuole per decidere di crearla e metterla a disposizione di tutti, non passa inosservato.
Nella home page del loro sito c’è una citazione di Toni Morrison, pseudonimo di Chloe Ardelia Wofford, prima scrittrice afroamericana a ricevere il premio Nobel per la letteratura nel 1993, che deve essergli sembrata così perfetta da non credere alle loro orecchie:
“This is precisely the time when artists go to work. There is no time for despair, no place for self-pity, no need for silence, no room for fear. We speak, we write, we do language. That is how civilizations heal.”
Tutte le volte che tolgo gli occhiali, mi passo le mani sulla faccia per lavare via il vissuto, stringo la fronte con le dita per riassettare i pensieri e penso due cose.
La prima è che quel gesto l’ho già visto. Lo faceva mio padre.
Tutte le volte che le conversazioni prendevano una piega pesante, che la vita gli presentava un conto amaro. Che non sapeva che ca**o di pesci prendere.
La seconda, che posso capire solo ora, è che lo faceva per trovare, raccattare, intercettare nuovo coraggio. Che quello usato fino a quel momento s’era consunto e sbiadito.
Così, tutte le volte che mi capita di farlo mi ripeto, come in un mantra, che devo solo avere coraggio. Il coraggio che va preso con le mani. Quelle mani che vanno raddoppiate, come suggerirebbe la tradizione, perché le sole due in nostro possesso non sono abbastanza. Né per reggerlo, né per acchiapparlo, né per portarselo in giro.
Serve il coraggio delle azioni che hanno delle conseguenze.
Serve il coraggio di decidere per se stessi.
Serve il coraggio di ammettere che se non funziona, tocca reinventarsi la vita.
Serve il coraggio di assomigliare a quello che si dice.
È paradossale che, cercando nella mia memoria campagne che avessero al centro del loro messaggio il coraggio, ce ne fossero due molto diverse tra loro accomunate, potremmo dire, da un verso ispiratore.
I got a soul but I’m not a soldier.
Brave enough to be Ukraine è un’operazione che a più di due anni di distanza mette ancora i brividi. I brividi di una delle prime guerre che abbiamo potuto vedere su Tik Tok, senza che questo ci aiutasse davvero a capirla, figuriamoci a fermarla. La prima guerra, credo in assoluto, ad avere un hashtag.
Immagino ora che si aspettassero un conflitto più breve e meno sanguinoso di quello ancora in corso. E il cui esito è incerto perché il coraggio appartiene ad una lettura del mondo che le strategie geopolitiche non contemplano. Per loro esistono ben altre valide monete di scambio.
E una folla assiste
C’è una guerra in background
Cattive notizie
La tua mente è il playground
Così canta Marra nel secondo brano del suo ultimo album che si intitola “È finita la pace”. Come aggiungere altro?
Ma sempre di soldati, si parla. Come quelli di cui canticchiano i The Killers nello spot Global realizzato per Nike nel 2008 e mandato in onda durante i giochi olimpici di Pechino. E anche lì il tema è il coraggio. Un coraggio che è tutto quello di cui hai bisogno, e che è già dentro di te. Astenersi ogni commento alla Quelo.
La cosa che mi ha sempre fatto impazzire di questo commercial sono le immagini d’archivio, di atleti di discipline diverse e non solo, mischiate a quelle di stambecchi nelle praterie, bufali in branco, parkourer che si giocano la vita saltando tra le travi di ponti non ben identificati, sinapsi in fermento, radiografie di fratture multiple, malati terminali, tribù africane e supereroi incazzati.
Perché il coraggio è impastato nei cromosomi di ogni creatura del creato, ma Dio se non dobbiamo scavare bene, a occhi chiusi e mani tremanti, per trovarlo.
In fondo questo è l’unico coraggio che ci viene richiesto: il coraggio di fronteggiare le più strane, le più fantastiche e le più misteriose cose che possiamo concepire di incontrare.
Così dice Rainer Maria Rilke a pagina 8 delle sue Lettere a un Giovane Poeta.
E così ogni giorno, per trovare il coraggio, per convincermi che ce la posso fare, mi dico che cercherò di farmi bastare di meno. Perché diversamente dovrei pretendere di essere di più. E non so se sono in grado di farlo. Non so quante volte dovrei passarmi le mani sulla faccia per trasformare la formula magica in rito d’iniziazione.
Non so dove ho trovato il coraggio neanche di arrivare fino a qui. Di fare certe cose senza poter sapere il parere di mio padre. Senza potergli chiedere un’opinione. Senza sentirgli dire che ne sono capace, che andrà tutto bene.
Perché uscita dalla sua bocca, a quella bugia, avrei anche potuto credere.
È molto molto bello quello che hai scritto. E forse non è stato neppure semplicissimo. Brava, brava