Sorridere come compromesso.
L’irreprensibilità e l’ostilità di certi personaggi, co-protagonisti del mio personalissimo spettacolo terreno, mi hanno spinta a ricercare la maestria del compromesso. Diciamo pure che hanno reso più che necessario il mio addestramento da autodidatta.
Ho cercato un metodo creativo per poter apprendere ogni trucco del mestiere e una performance teatrale che si addicesse alla mia personalità. E devo dire che nel tempo le maschere appoggiate sul mio viso sono cambiate senza sosta. Ma ogni manomissione, ogni nuova ombra, ogni inclinazione impercettibile e ogni ferita da arma da taglio mi hanno avvicinata all’essenza. A quella maschera che so di indossare e che mi rende autentica.
Il mio peculiare approccio al compromesso, alla remissione dei peccati e all’espiazione delle opinioni è il sorriso. Sorridere, quando gli altri si aspettano rabbia e livore, genera il panico. Sovverte le regole della più comune convenzione che ci vuole homo homini lupus. E i lupi, si sa, digrignano i denti, raschiano la terra con le unghie, illuminano sguardi con il fuoco ma no, non sorridono.
Qualunque sia l’augurio che accompagna le gote che si arricciano verso l’alto, la fossetta che compare a destra delle labbra e lo scintillio negli occhi, chi lo riceve non può che capitolare. Forse anche per l’assenza dei denti, che non si mostrano mai, per evitare spiacevoli incomprensioni.
Ho imparato che sorridere riempie un buco lasciato scoperto a marcire da convenzioni sociali, pressappochismo, solitudine da ipocondria e superficialità. Umana e diabolica insieme.
Miserable shits.
In Kodachrome, film diretto da Mark Raso nel 2017, infermiera e figlio accompagnano un fotografo di fama internazionale e malato terminale in Kansas, dove si trova l’ultimo laboratorio in grado di sviluppare pellicole Kodak. Laboratorio che sta per chiudere i battenti. Il road trip diventa un modo per conoscersi, per dirsi addio e per abbandonarsi alla nostalgia di un’era al capolinea.
Let me tell you something -dice a un certo punto Ed Harris con il suo Panama bianco e la faccia da schiaffi, tipica di chi non teme più la morte - Happiness is bullshit. It’s the great myth of the late 20th Century. Do you think Picasso was happy? You think Hemingway was? Hendrix? They were miserable shits. No art worth a damn was ever created out of happiness. Ambition, narcissism, sex, and rage: those are the engines that drive every great artist. A hole that can’t be filled. That’s why we’re all such miserable asshole.
Fill it up with peace & self-awareness.
La mia espressione sorniona e accogliente ha la capacità di riempire un buco. Che poi è anche il mio. A hole I try to fill up with peace. Cercandola in ogni anfratto, la pace e donandola a titolo gratuito, come se avessi trovato la fonte imperitura.
Quella maestria del compromesso a costo della stessa vita ha filtrato la realtà facendo trapelare seconde misteriose versioni mai prese in considerazione prima. Come i drammi che, se scomposti e vivisezionati, rivelano di essere nient’altro che la vita che si dispiega e si dipana, mentre noi la vorremmo immobile. O come le bugie che nascondono forme di verità assoluta solo per chi è capace di epurarle dall’oscurantismo e della pretesa di avere sempre ragione.
Scorgiamo piedistalli all’orizzonte e facciamo mille capriole per raggiungerli, finendo i nostri giorni in preda ai capogiri dettati dalle vertigini e invidiando quelli che, conoscendo se stessi, hanno lasciato i vertici ai temerari, restando in basso. A sorridere a chi, come loro, ha deciso di non tentarla neanche, l’impresa.
Al cospetto dell’ultimo sermone domenicale condito di parole inutili, ce ne sono state alcune che ricordo: coltivate i vostri doni perché è l'unico modo con cui imparerete a coltivare quelli degli altri.
In Montecristo, Jovanotti -che è chiesa tanto quanto la Chiesa- canta infatti se trovi la tua voce sarà un piacere anche cantare in coro. Se i preti ascoltassero di più la voce degli altri e meno la propria, sai che celestiale sinfonia.
Qui una versione di Montecristo con gli Otros Aires, gruppo fondato a Barcellona dal musicista e architetto argentino Miguel Di Genova nel 2003.
Ma comunque anche quella di coltivare i propri doni, per aprirsi la possibilità di accarezzare e proteggere quelli degli altri, è un’arte. Un’arte che ruba donandosi, o che dona rubando.
L’arte ruba alla vita, la vita ruba all’arte. È così che i miserable asshole riescono a sovvertire le regole, a cambiare le prospettive, ad abbracciare dolori universali di cui non provano a cancellare la pena ma che sono in grado di trasformare in grazia.
Furto con destrezza.
La vita ruba all’arte e l’arte ruba all’arte. Come nella campagna del 2019 per il lancio dell’assicurazione per collezionisti della compagnia triestina Generali, in cui un semi nudo Maurizio Cattelan saltella con in mano il cartonato del suo gabinetto d’oro, trafugato dal Blenheim Art Foundation a Woodstock pochi mesi prima.
Ammette che tutti rubano, lui per primo. Si bea, sorride. Perché più grandi sono gli artisti, con più destrezza sarà commesso il furto.
L’idea e lo scatto sono -non a caso- una forma d’arte moderna, quella di Oliviero Toscani. Personaggio controverso su non mi dilungherò ma che ho amato soprattutto per la sua capacità di unire la fotografia all’intelligenza. Perché è questo per me il suo vero tratto geniale. Prendere una forma d’arte che di solito colpisce dritto al cuore, o al massimo alle budella e usarla per mettere in moto un altro organo: il cervello.
E così, penso, il mio sorriso porta in scena l’amabile arte del compromesso, rubando alla vita il suo riflesso più sottovalutato. Disprezzato.
Il mio sorriso dice che sono una miserable asshole ma che porto in giro questa disfatta senza arroganza o timore di smentita. Che il riconoscere valore e disvalore di ogni azione portata al cospetto del prossimo mi mette in pari. Ho buchi da riempire e buchi pieni. Di tutti gli sguardi che non ho voltato dall’altra parte, di tutti i tentativi di guerra che ho trasformato in tregua, di tutte le parole riscritte che hanno trovato la loro forma migliore, di ogni orecchio teso all’ascolto, di ogni lezione non ancora messa a fuoco.
E così la mia bocca che si inarca dice che sono una miserable asshole che forse non sarà mai capace di riempire buchi d’arte destinati all’eternità ma che sa sorridere. Anche di questa umile e inutile realtà. Che produce regali sempre nuovi. Inaspettati e difficili da scartare.
Ma io chi sono?
Una che cerca compromessi tra ragione e sentimento dal 1982.
Pensavo di farlo solo per lavoro ma ho scoperto che lo faccio
anche nella vita. Se è un bene lo scopriremo solo con il tempo.
Per il resto del mondo sono una creative strategist e una copywriter.
Se vuoi saperne di più, puoi leggere le mie parole accompagnate dalle mie foto o semplicemente scoprire cosa ho fatto nella vita (e capire quante cose ho da fare ancora).
Adoro il modo in cui scrivi, è una carezza.
mi hai fatto venire in mente Tiziano Terzani e il più grande compromesso col sorriso di sempre: "Se qualcuno ti punta un'arma addosso, sorridi, avevo da allora detto ai miei figli e quella mi pareva una delle poche lezioni di vita che ero capace di dar loro."