Il giuramento del creativo.
La prima forma di promessa da rivolgere a se stessi, e non ad altri.
Di Giovani, Carini e Disoccupati traduzione non letterale di Reality Bites, il film cult girato da Ben Stiller nel 1994 ricordo due cose. Anzi no, sono tre. Ma una la ricordano tutti, ovvero il balletto sulle note di My Sharona quasi usato come forma alternativa di pagamento alla cassa.
Le altre due sono decisamente più personali.
Una è legata alla ragazza che nel film porta il mio nome, anche se è scritto in maniera differente, e che paga lo scotto di vivere a modo suo essendo costantemente atterrita dall’idea di poter contrarre l’AIDS e la seconda è ovviamente il mio adolescenziale incontro con Ethan Hawke.
Ma quella per Ethan Hawke è stata una cotta finita bene, di quelle che non ti spezzano il cuore ma ti aprono la mente. Perché Ethan Hawke mi sembrava non fosse tanto diverso dal personaggio che interpretava. E allora, per innamorarmene meglio, ho iniziato ad ascoltare le sue interviste, seguire i suoi talk, e soprattutto leggere i suoi libri.
Dopo l’Amore giovane (The Hottest State,1996, Minimum Fax), Mercoledì delle Ceneri, il suo secondo romanzo (Ash Wednesday, 2002, sempre Minimum Fax) è stato la conferma di quanto la sua voglia di scoprire cosa muovesse le relazioni e cosa creasse o strozzasse i legami tra le persone era pari solo alla curiosità che da bambina mi faceva ridurre in mille pezzi bambole parlanti e costosi robot visti in tv per cercare di comprendere come diavolo facessero a replicare noi umani.
Mentre il suo penultimo romanzo, A Bright Ray of Darkness (Un Raggio di Buio, Big Sur, 2022) mi ha parlato di come si scava dentro un’esistenza mentre si disfa in mille pezzi e di quanto sia necessario allenare gli occhi per essere pronti a guardare quel piccolo raggio di luce, pieno di pulviscolo e incerta speranza, che trapela solo in presenza di uno squarcio.
E a proposito di sottolineature, ce n’è una che agisce da sintesi perfetta.
É il motivo, questo stalkeraggio intellettuale da 40enne, per cui non mi sono persa neanche la masterclass che Ethan Hawke ha tenuto al Festival del Cinema di Venezia qualche giorno fa.
Ed è in parte il motivo per cui ho iniziato a guardare The Last Movie Stars, il documentario diretto da Ethan Hawke durante la pandemia, che indaga e rivela, con commozione ed amorevole affetto, la storia d’amore -e non solo- che ha legato Joanne Woodward e Paul Newman.
É all’episodio 2 di The Last Movie Stars che è successo qualcosa.
Ho scoperto che Elia Kazan, cofondatore degli Actors Studio che Newman aveva frequentato, ha trovato le parole per comporre The Actor’s Vow: una sorta di voto e promessa a metà strada tra il giuramento di chi assicura di perseguire la difesa della vita nel rispetto della dignità e della libertà di ognuno e la preghiera della serenità che chiude il cerchio dei 12 passi.
Solo che Il giuramento dell’attore credo possa essere ribattezzato come Il giuramento del creativo.
Potrebbe essere appeso sui muri d’ingresso dei reparti preposti allo sviluppo di nuove idee, recitato prima dei brainstorming, declamato in ogni discorso d’esordio e magari ripetuto a mente in ognuna di quelle mattine che Dio manda in terra senza aver prima chiesto il nostro consenso.
The Actor’s Vow dice
Prenderò il posto che mi spetta sul palco e sarò me stesso.
Non sono un orfano cosmico.
Non ho motivo di essere timido.
Risponderò come sento;
goffamente, volgarmente, ma risponderò.Avrò la gola aperta,
avrò il cuore aperto,
sarò vulnerabile.Potrei avere qualsiasi cosa
il mondo ha da offrire,
ma la cosa di cui ho più bisogno,
e ciò che desidero di più
è essere me stesso.Ammetterò il rifiuto,
ammetterò il dolore,
ammetterò la frustrazione,
ammetterò anche la meschinità,
ammetterò la vergogna, ammetterò l'indignazione,
ammetterò qualsiasi cosa e tutto ciò che mi accade.Le parti migliori e più umane di me sono quelle che ho abitato e nascosto al mondo.
Ci lavorerò sopra.
Alzerò la voce.
e sarò ascoltato.
Ogni singolo passaggio rimesta quel groviglio di passioni mal poste e cocenti insoddisfazioni che ogni creativo conosce molto bene.
Mettendo in ciò che fa parti di se stesso che spesso non sapeva nemmeno di avere. Esponendo agli altri, noti e sconosciuti, un’idea di mondo che potrebbe scaraventarlo nel vortice del publico ludibrio o nella celebrazione della più alta forma di genio, dipende dal caso. Un genio che a volte è incompreso, a volte è solo fuori posto, a volte è solo fuori fuoco, a volte è solo giovane, come diceva Calvino.
Sarà per ricordarmi le regole del gioco o per rammentare a me stessa -ancora una volta- la salvifica differenza tra un sacrificio necessario ed uno estorto, che ho riscritto The Actor’s Vow, tasto dopo tasto, con la mia Lettera 32. Per renderla tangibile e inquadrala nella sua interezza, credo.
Solo così infatti ho capito che Il giuramento dell’attore contiene -in verità- tutte le tracce de Il giuramento dell’essere umano.
Quello che promette di cercare il suo posto nello spazio e nel tempo, ingoiando ciò che c’è da affrontare sul cammino, per giungere alla sua unica Itaca: essere se stesso. Quello che sa di dover nascondere qualche pezzo, quello migliore e più umano, agli occhi del mondo. Che la verità intatta contiene fragilità troppo difficili da maneggiare.