Nei ricordi.
Devo a una sfortunata coincidenza di eventi l’incontro con quello che da sempre considero il più bel commercial della storia della pubblicità. Perché ha dentro quelli che nel tempo ho imparato a riconoscere come elementi di pregio, quando si maneggia questo metodo comunicativo.
La scena si svolge in una sola location, senza fuochi d’artificio e grandi budget, racconta una storia semplice che tocca le corde di ognuno di noi perché, anche se la nostra vita non segue perfettamente quel canovaccio, Dio solo sa se conosciamo bene quell’emozione. Ha un turning point che lascia senza fiato. E ha un solo ingrediente che voleva essere distintivo, ed è distintivo: il modo in cui quella storia viene raccontata.
La HBO lo commissionò alla BBDO di New York nel 2008 e si aggiudicarono insieme un oro al Festival di Cannes dello stesso anno.
Credo che abbia lasciato un segno indelebile nella mia più che fallibile memoria perché parla di un ritrovarsi che è anche un mancarsi. Perché conosco bene non solo la sensazione che si prova a ritrovare qualcuno che pensavamo perso ma anche il fardello di continuare ad andare mentre la perdita è in atto.
Perché perdere qualcuno non è un’azione con un suo inizio e una sua fine. Perdere o perdersi modifica lo stato delle cose, in maniera quasi permanente. È scatenato da un evento ma non termina con esso. Si protrae nel tempo, come un rumore di fondo a cui ci affezioniamo per stanchezza e devozione.
Nelle storie degli altri.
Secondo lo speech che la dottoressa Lucy Hone ha tenuto nell’ormai lontano 2019 al TED di Christchurch (se anche tu ti stai chiedendo dove diavolo si trova, sappi che anche io mi sono affidata alla Treccani per colmare la lacuna) ci sono 3 semplici strategie che le persone resilienti mettono in campo.
La prima è sapere che shit happens. Facile come bere un bicchiere di acqua che invece è candeggina. Si applica trasformando la fatidica domanda “Perché proprio a me?” nella sua più complessa ma ardita revisione “Perché non a me?”. A quanto pare, questo piccolo cambio di prospettiva aiuta a non sentirsi discriminati dal destino, da nostro Signore o da chi per esso, quando il peggio accade.
La seconda, per certi aspetti più banalotta, è maneggiare la vita con realismo, evitando di indugiare -come la nostra natura vuole- sugli aspetti più negativi delle situazioni e imparando a vedere il famoso silver lining.
La terza è chiedersi sempre se quello che stiamo facendo ci aiuta o ci danneggia. Farlo, a quanto pare, ti permette di capire che molte delle cose che credi ti stiano semplicemente capitando sono alimentate dal tuo stesso sguazzarci dentro. Anche in questo caso, porsi la domanda “Is it helping me or harming me?” è semplice come cucirsi da solo una ferita con ago, filo e un po’ di whisky ma ti permette di tornare in controllo. It puts you back on the driver’s seat.
La dottoressa Lucy Hone parte da una storia personale. La perdita della figlia. E termina lo speech con un’immagine a dir poco potente.
I won't pretend that thinking this way is easy. And it doesn't remove all the pain. But if I've learned anything over the last five years, it is that thinking this way really does help. More than anything, it has shown me that it is possible to live and grieve at the same time. And for that, I would be always grateful.
Ha capito che restare intere notti a piangere sulle foto della persona scomparsa non l’avrebbe aiutata. Ha ricominciato a mettere in atto la sua vita. Un atto semplice che per molti è sinonimo di alto tradimento. Ha compreso che si può continuare a vivere e portarsi dietro il peso del lutto, contemporaneamente. Le due cose non solo convivono, a volte combaciano, in molti casi si compenetrano.
Nelle ultime scoperte.
Qualche giorno fa, leggendo
, la newsletter settimanale di Chora Media, ho scoperto che -per propiziarsi l’anno nuovo e fare un po’ di sana pubblicità- avevano collegato ad ogni segno zodiacale un paio di podcast da ascoltare. E la mia curiosità non poteva esimersi dal seguire il consiglio dettato dalle stelle. Così ho iniziato ad ascoltare “Citofonare Hegel” e qualche ora prima di mettermi a scrivere quello che stai leggendo in questo momento sono inciampata nell’episodio “Che bello contraddirsi”. L’ho trovato profeticamente poetico.Al minuto 2:10 Paolo Pagani dice: Nessuna condizione è data, nessun stato è mai permanente. In ogni cosa ha sempre luogo una contraddizione, perché solo la lotta fra contrari può risolversi in una sintesi secondo Hegel, cioè in una verità superiore.
La vita, a voler trarre delle conclusioni, è costante compresenza di sentimenti che ci hanno insegnato a considerare antitetici. Come in una fervida e destabilizzante contemporaneità degli opposti. Che ci affascinano proprio per questo, come il tramonto che è giorno che si fa notte ma che notte ancora non è.
Ogni nostra esperienza di pienezza e di svuotamento dovrebbe portarci a concepire la certezza che spesso resta ciò che non è fatto per restare. E che con la stessa probabilità siamo condannati a perdere quel che ci appare essenziale. E che si sopravvive, nonostante tutto.
Tenendo la mano agli altri.
Ma soprattutto tenendosi per mano da soli.
Ma io chi sono?
Una che gioca con ossimori e antitesi per professione.
O forse per deformazione personale.
Ma trovare ordine nel caos e portare caos nella noia, sono due delle mie missioni preferite.
Per il resto del mondo sono una creative strategist e una copywriter.
Se vuoi saperne di più, puoi leggere le mie parole accompagnate dalle mie foto o semplicemente scoprire cosa ho fatto nella vita (e capire quante cose ho da fare ancora).
🙏