Quando abbiamo svuotato casa mia, ho dato in pegno un pezzo della mia anima per assicurarmi di ricordare. E da quel momento è stato tutto un gioco di specchi con il tempo, nel tentativo di recuperare, di vedermi restituito qualcosa che avevo perso. O che stavo per perdere, in prospettiva.
Non so se sia stato lo stesso per mia madre, forse pretendo di convincermi di no. Perché ammettere il contrario sommerebbe la sua nostalgia alla mia, e la renderebbe insopportabile.
Ma ho perso molto più di quello che si può chiamare casa. Credo di aver perso il contatto con la terra.
Di aver sentito una spinta diversa nell’andare verso l’orizzonte, avendo strappato a mani nude quello che potevo considerare il passato. Le radici, il punto di origine.
E mentre lo facevo succedevano cose inenarrabili, e mentre le affrontavo mi promettevo che non avrei mai speso tutta la mia vita a cercare il colpevole, ma solo a tentare di ricominciare. Solo a tentare di vivere malgrado ogni forma di colpa.
Seguendo questo ordine innaturale e sgrammaticato delle cose, mi sono chiesta quale fosse lo spot natalizio andato in onda l’anno in cui sono nata, il 1982.
E ho trovato, e visto per la prima volta, il commercial di una macchina fotografica innovativa per l’epoca, dotata di un disco anziché una pellicola, così da andare avanti da sola in automatico, click dopo click. La Kodak Disc 4000 è stata il primo dispositivo a spingerci verso l’abuso dello scatto a ripetizione.
Il voice-over dice: So you can get the pictures, you may have missed before.
Un eccellente consumer benefit che per un attimo mi incanta.
Non ci sarebbe niente di strano se non fosse che quella macchina fotografica io l’ho, vorrei dire ereditata, ma no. Sarebbe più corretto dire che l’ho salvata, dal macero e dall’oblio.
Mio zio la acquistò in Via Santa Lucia a Napoli, in un posto che ormai non esiste più, il 26 maggio del 1985. Tutti i compleanni più importanti in famiglia erano già passati per cui sono propensa a pensare che fosse un acquisto personale. Magari pensato per immortalare le vacanze estive.
Mi fa sorridere di tenerezza che nome e indirizzo siano i suoi ma il numero di telefono sia quello di casa mia. Di quella che era casa mia.
Fu anche riparata e restituita al mittente nel febbraio dell’anno successivo. Mio zio conservava ogni cosa. Buste paga, tasse pagate, verbali notarili e cartelle mediche. Ho reciso, gettandole, il suo unico cordone ombelicale con una vita che potesse definirsi tale.
Ricordo molto bene che aver ritrovato questa Kodak, insieme ad altre diverse macchine fotografiche, mi aveva fatto riflettere su quanto poco sapessi di lui e rabbrividire al pensiero di dover confessare di avere con lui più cose in comune di quante vorrei ammettere.
Ma quel che sono pronta ad ammettere, conta poco.
È che quando penso a quanto amore è andato sprecato, a quanto ne ho elemosinato, senza lasciare spazio ad alcun pudore, provo un senso di sconfitta che è difficile mandare via.
Si chiude un anno di ferite mal ricucite.
Ma mi sono messa a nudo, le ho guardate tutte in faccia, e una per una le ho chiamate per nome.
Ora che ci conosciamo vedremo di far pace con la guerra. Di percorrere strade nuove sperando ci reggano il cuore e il fiato.
E proveremo a volerci bene. Spero che accada, fosse anche solo per puro sfinimento, essendo costrette, per caso e lascito testamentario, ad abitare nella stessa pelle.
Bello❄️. Ti consiglio di vedere Kodachrome, un film che ha molto a che fare con ferite, colori e scatti.
❤️E proveremo a volerci bene.