Non ci sono podcast, libri, canzoni o scoperte da condividere questa volta. Fatta eccezione per una serie di COPYAD illustrate, nate nel 2020, che sono ancora profondamente valide. Ci sono intuizioni, per lo più notturne, rimpastate in parole e sprazzi di buone intenzioni. Su cui ho sentito l’esigenza di mettere la voce. Stavolta non ho cercato la vita nel lavoro degli altri ma in quella che stavo respirando e proteggendo. In un punto del mondo, lontano da quello in cui vivo, che non è più cosa mia. O forse non smetterà di esserlo mai.
A casa bisogna rientrarci nudi.
E possibilmente soli. Senza abitudini da quattro soldi, senza orpelli. Svuotati, come una valigia che non si vuole più riempire. Come lo sguardo che si muove fuori da un’altra finestra e prova a riagganciarsi alla realtà. A casa bisogna rientrarci nudi. Sperduti e vulnerabili, come quando si è venuti al mondo.
Il cuore va veloce e detta frasi brevi. Temo resterà così per tutto il tempo.
Ogni volta che viaggio, comincio a muovermi solo dopo aver raggiunto la meta.
Rifare a ritroso la strada dove ha vissuto il passato è come riabbracciarsi da bambini. Ti cade addosso intatto ogni anno, giorno e ora che non hai mutato in felicità.
Il sole qui ha una consistenza diversa.
Non è questione di calore ma di spessore, perseveranza, dedizione, determinazione.
Le parole dette durante la notte mi hanno sempre spaventato. Ma alcuni luoghi ridestano il coraggio. E lo disegnano su geografie che prima hanno sempre fatto rima con paure.
Detesto l’inospitalità che rende incapaci di godere dell’ospitalità degli altri.
Ci sono cose di cui chi doveva volermi bene, per onere e onore, non si è mai accorto. E adesso me ne chiede contezza. Come fosse stato mio l’inganno.
Le lamentele. Quelle gratuite. Mi raschiano lo stomaco nel profondo. Conducono a stati di odio che non avevo mai provato prima. E lo dico, lo scrivo, mentendo. L’unico rivale è la rabbia. Quella che di solito mi fa scattare a molla e fuggire per evitare di dire o fare cose di cui potrei pentirmi.
La solitudine è uno stato personale.
Nessuno dovrebbe pensare di poterlo squassare in compagnia di un altro. Il nemico è dentro. Si è soli solamente quando si è troppo vuoti. O troppo pieni di se. In ogni altro caso, stare con noi stessi non è un sentire ma una condizione necessaria che ci avvicina ad una forma di inespugnabile appartenenza.
La campagna “A Time To Make” realizzata dagli studenti della Miami Ad School nel 2020 per il brand So Worth Loving durante il lockdown sottolinea quanto sia stato proprio il forzato (o volontario) stato di solitudine e distacco dal resto della società ad aver aiutato grandi artisti a produrre le loro opere più rappresentative. I loro capolavori.
A quanto pare tutto quello che amiamo agisce involontariamente per sottrazione. Per poi provarsi nel tentativo di controbilanciare. Di restituire vita, nel momento presente, anche se vita spesa male, perduta, investita a perdere in esistenze altre, recenti e lontane.
Qui c’è gente che fischietta, con in tasca niente. Non celebra quello che non può avere ma si fa beffe di ogni forma di frivolo desiderio.
Le stelle hanno in fondo la stessa luce, qualunque siano le coordinate dei nostri cieli. Ci ricordano che sono lì, non perché noi puntiamo a loro i nostri occhi ma perché siamo ospiti, schiamazzanti, di un mondo generoso che prova a farci strada tutte le volte che perdiamo i nostri passi sopraffatti dal buio.
Ad un certo punto bisogna coltivare il coraggio di smettere di tornare.
Dove si è stati felici, dove si è stati schiaffeggiati, dove si è stati veri. Bisogna imparare ad abitarsi molto più di quanto si abitino i posti. Conservandone i bagliori, abbracciandone le moltitudini e lasciandoli cambiare. Senza per questo considerarli altrove.
Grazie