Quando ero molto giovane e parzialmente più arrogante di quanto io non sia ora, invidiavo alle mie sorelle la possibilità di osservare la mia intera vita.
Come nella mostra di Ron Sweet visitata da Jep Gambardella ne “La Grande Bellezza”, l’idea che qualcuno potesse anche solo tenere a mente, scatto dopo scatto, lo svolgimento della mia esistenza mi sembrava un’esperienza unica, irripetibile. Irrinunciabile.
Insomma, mi avevano visto nascere, venire al mondo, mi avrebbero visto muovere i primi passi, dire le mie prime parole, fare i miei primi errori, ottenere i miei primi riconoscimenti. Avrebbero potuto osservare, sorridendone, i miei primi innamoramenti. Avevano il privilegio di guardare una vita e di poterla inquadrare come un’opera in divenire ma completa. Come al cospetto di una biografia che si srotolava davanti ai loro occhi.
Cosa è più edificante dell’idea di poter abbracciare qualcosa nella sua interezza anche mentre si sta svolgendo?
Lo consideravo un privilegio non solo perché ero saccente e presuntuosa ma perché ho sempre considerato una favorevole concessione del destino la possibilità di attraversare gli eventi e contemporaneamente porsi alla giusta distanza per coglierne l’essenza. Pensavo che fosse questo il loro privilegio, peccato che a loro guardare alla mia vita, dalla giusta distanza e nella sua interezza, non poteva (giustamente) fregare che meno di niente.
È probabilmente questo il motivo per cui le persone che si conoscono meno sono quelle che si frequentano ogni giorno.
E anche perché, pensare alle persone come ad entità note, ci rassicura. Non solo perché ci permette di dire con leggerezza frasi definitive come io la conosco o io lo conosco, dichiarazioni che implicano tutta una serie di consequenziali presunzioni di preveggenza ma anche perché vogliamo poter ammettere a noi stessi, senza vergogna, di sapere come è fatta l’altra persona. Senza che questo sapere venga mai messo troppo in discussione. Conosco il posto che occupa, so che vive avendo scelto per sé quella posizione, e che agisce rispettando un ruolo regolamentato: questo ci diciamo. Pietosamente.
Io invece mi sforzo di godere del privilegio di guardare vite che non sono la mia tutte le volte che posso, e di acciuffarne le verità e le trasformazioni. Le guardo da pulpiti senza pretesa misericordia ma pieni di interesse e meraviglia, seppur con le dovute eccezioni.
Confesso di non essere in grado di quantificare quanto mia madre sia cambiata rispetto all’idea che mi sono fatta di lei quarant’anni fa, o rispetto all’idea che ho parzialmente cambiato di lei vent’anni fa, ad esempio. Perché accettare i suoi mutamenti sconvolgerebbe ogni norma e ogni presunta forma di relazione, mi obbligherebbe non solo ad accettare quanto lei abbia sofferto ma anche in fondo quanto le somiglio.
Ci sono persone poi che osservo con maggiore attenzione di altre.
È pura curiosità mista a chimica. Persone la cui metamorfosi è sotterranea, è tenuta nascosta per rispetto, devozione e paura. A quei cambi di rotta non ancora avvenuti guardo con maggiore turbamento perché so che probabilmente sto sottostimando gli indizi, travisando le avvisaglie. So che qualcosa a un certo punto scoppierà. E so che, con buona probabilità, mi scoppierà in faccia.
Osservo cambiamenti molto più espliciti in persone che finiscono per trasfigurare il colore della pelle, la forma del viso, l’intonazione della voce. Sono mutazioni oscure, le cui ragioni mi restano ignote, che rendono difficile capire se sia il falso a farsi verità o la verità a cambiare fazione.
Osservo con gratitudine le evoluzioni delle persone che hanno sempre preso in giro l’esistenza. La loro coerenza di stile mi dà conforto, mi dà gioia, mi restituisce la sensazione di un rigore dell’universo, che ancora si può insinuare nelle pieghe della storia del singolo, dandogli una direzione proprio perché non gli impone una direzione sola.
Molte volte sono rimasta in attesa di aggiustamenti di rotta che mi aspettavo avvenissero, necessari e sacrosanti, seppur nelle vite di altri, ma che non sono mai accaduti. Sono mancati allineamenti che ho registrato con disappunto, perché ogni possibilità di crescita, confronto, approfondimento, o evoluzione sprecata è, per me, una sconfitta per tutti. Non solo per i diretti interessati.
E poi ho visto persone cambiare radicalmente, e per questo decidere di non sentirsi più adatte a interpretare il personaggio che avevano portato in scena fino a quel momento, che hanno ritenuto di non essere più adatte a stare nel posto in cui si erano infilate, quello che per gli altri era il loro posto nel mondo. Quando hanno alterato le loro esistenze, troncando di netto legami e dissapori, non hanno dovuto solo decidere da che parte stare ma anche se volevano sconvolgere così tanto l’idea che gli altri avevano di loro. Per poi accorgersi che era esattamente quello il prezzo della loro libertà.
Perché lo faccio?
Forse perché voglio intercettare nella visione completa di un’intera vita la sua levatura valoriale. Perché mi hanno insegnato a decodificare il mondo distinguendo tra coerenti e incoerenti. Mentre avrebbero dovuto imparare (per poi indottrinarmi) che bisogna dividere gli statici dagli acrobatici, classificare con rigore i fermo immagine e i piano sequenza. Che nel cambiare strada c'è orgoglio e un pizzico di spavalderia che non apprezza solo chi ritiene che stare fermi a guardare non sia un atto di follia.
Prova a pensare alla definizione che dai di te stesso. Metti da parte tutte quelle che ti vogliono figlio/a di, madre o padre di, sorella o fratello di, amico o amica di. Evita di raccogliere a mentre i titoli di studio, le città in cui hai vissuto, le persone importanti che hai incontrato, le medaglie al valore e al merito. Cosa rimane? Qualunque cosa sia, è quello il tuo punto di partenza.
I soccorritori in mare non fanno domande inopportune prima di protendere la mano (o il salvagente) e portare in salvo vite umane. Perché spogliate da ogni orpello, hanno in comune quello. Sono vite. E sono umane. L’ultima campagna di Open Arms fa un uso interessante e finalmente intelligente degli strumenti artificiali, chiamati a generare un’immagine mai reperibile nella vita vera ma che dice una verità incontrovertibile. E per questo quasi insostenibile.
Il bestiario è una rivista di Gog Edizioni che dice di uscire a cadenza umorale. Come scrivono sul loro sito Ogni numero esce quando la vita come uno spillo ci entra nell’occhio, quando inciampiamo dentro alla pozzanghera di un tema che ci sembra irrevocabile, dal cui scioglimento dipendono i destini del mondo.
L’ode all’attesa pubblicata sul loro profilo Instagram ci ricorda che
In quell’assenza di movimento, in quell’oblio delle routine di una società capitalistica, in quella stasi soporifera, sei costretto all’esercizio estremo di abbandonare ogni pretesa di identità corroborata dall’esterno. Per rintracciare l’unica possibile, quella ad uso e consumo personale. Che sarà mutata, già solo dopo il primo minuto di (non) silenzio.
Il loro racconta continua così: Bisogna che tu sia preparato a tener lontano il dispositivo che nel taschino interno della tua giacca o dal fondo scuro della borsa urla di essere toccato, grida il tuo nome, strilla aiuto aiuto aiuto tu hai bisogno di aiuto, ma è necessario che tu resista alla noia, che resista all’assalto della paura che il cuore rinunci al suo battito, che tu perda la fiducia in un futuro che qualcuno ti ha organizzato e ti abbandoni infine all’ignoto, alla possibilità che qualcosa spaventosamente accada, che l’animo si sconvolga e che, con speranze nuove, tu sia costretto a cambiare vita.
Ecco, considero un privilegio stare in silenzio a osservare l’umanità che si muove, che si agita, che si arrabatta, che si offende e che si difende. In ogni azione, che sia latente o evidente, sta il dispiegarsi del tempo e la segreta risposta ad ogni incomprensibile domanda.
Ma io chi sono?
Alzi la mano chi ha la risposta a questa domanda!
Io no. O meglio, ne ho tante.
Una per ogni giorno che il buon Dio mi ha dato da passare su questa terra.
Per il resto del mondo sono una creative strategist e una copywriter, soprattutto.
Se volete saperne di più, potete leggere le mie parole accompagnate dalle mie foto o semplicemente scoprire cosa ho fatto nella vita (e capire quante cose ho da fare ancora).
Grazie per questa riflessione che ti costringe a rallentare e quasi fermarti per cercare e capire l'essenza di ognuno di noi.
Wow. Senza fiato.