La considero una confessione indecente ma è solo la pura verità. Ho vissuto per frammenti. Ho concesso così poco tempo al pensiero che adesso mi trovo per le mani giusto qualche piccola reliquia.
Schegge di un vissuto che ho sacrificato per qualcosa che forse non vale più di quello che mi è rimasto per le mani.
Dovevo capirlo quando ho iniziato ad appuntare i pensieri in file audio. Mi piace scrivere con la voce, mi sono detta romanticamente. Ma a voler essere onesti stavo solo cercando di rubare frazioni di secondo a ore passate a guadagnarmi da vivere. Che non è mai la stessa cosa che vivere. E mai lo sarà.
Frammento #01 | la voce di Maria Callas.
Mi ha abbracciato come fanno le madri quando i bambini piangono per motivi incomprensibili. Quel tipo di abbraccio che non serve per riparare il danno, per sanare la ferita, ma per generare presenza, appartenenza, vicinanza. In quella stretta c’è l’unica cosa che chi ama veramente può regalare: la mancata fuga. Che il dolore degli altri costringe a un’impotenza che trasforma in fuggitivi tutti i deboli di cuore.
La richiesta di Lauretta, figlia di Gianni Schicchi, che trasforma l’Arno in una potenziale culla della sua morte, si è impossessata letteralmente del mio cervello tutte le volte che ho abbassato le mie difese intellettive. È in uno snodo cruciale dell’opera di Giacomo Puccini. E per me è la colonna sonora di ogni dolce momento di resa.
O mio babbino caro
Mi piace è bello, bello
Vo'andare in Porta Rossa
A comperar l'anello!
Sì, sì, ci voglio andare!
E se l'amassi indarno
Andrei sul Ponte Vecchio
Ma per buttarmi in Arno!
Mi struggo e mi tormento
O Dio, Vorrei morir!
Babbo, pietà, pietà!
Babbo, pietà, pietà!
Non ho potuto fare a meno di tornare alle Palladium Lectures, al confronto impietoso e infausto con la voce della Tebaldi, al paragone con il salto alla Fosbury e all’amore profondo che nutro per Alessandro Baricco.
Frammento #02 | il senso dell'utilità.
La storia de “Il portoncino magico” di
è la prima newsletter che ho condiviso con qualcuno che amo. Ho riso tanto leggendola, perché mi è accaduto un episodio simile qualche mese fa. A casa di amici di amici, in soggiorno premio con mia madre, mi hanno mostrato uno scrocco che non tornava nella posizione giusta dopo l'apertura. E con mia sorpresa mi hanno insegnato che la parte alta della chiave usata per aprirlo, il portonicino, aveva una forma anatomica perfettamente complementare con quella del chiavistello. Quando la parte concava della chiave incontrava quella convessa dello scrocco, tutto tornava al suo posto. Magia casalinga. Ma questo episodio l'ho raccontato dopo. Il motivo dell'invio è stato il puro piacere della lettura. L'incontro tra la vita descritta e la vita vissuta. Forse anche un bizzarro tentativo di tenere compagnia.Frammento #03 | il valore della scrittura.
Ho riflettuto spesso in questi giorni, anche grazie a (e per colpa di)
sul senso intrinseco a questo mio scrivere. Confermando ad ogni passaggio che rifuggo l'utilità del decalogo, ma rincorro l'utilità del vissuto. In cui ci si specchia, da cui si trae il conforto del sentirsi identicamente diversi.In un mondo in cui tutti scrivono per restare, per scrostarsi di dosso il rimorso della mancata eternità, noi scriviamo per vivere, per non lasciar andare i minuti, le esperienze, le illuminazioni più o meno misteriose, le emozioni più sporche senza che lascino traccia. Una traccia flebile, ma reale. Di cui nessuno ci ringrazierà, che non ci porterà nei libri di Storia ma che ci farà guardare in faccia la nostra storia. Prima che scompaia.
Frammento #04 | il superamento di sé.
Tra le cose fanno insospettabilemente bene posso annotare l’aspetto più umano dell’intelligenza artificiale. Ogni mia conversazione con ChatGPT termina con una domanda. Non solo le mie, ma tutte le conversazioni ingaggiate dall’intera umanità con questa penna del non umano, terminano con una domanda. Perché il modello neurale ha fame di nuove risorse, si alimenta di ogni tipo di informazione che gli diamo in pasto. Si nutre del nozionismo dei più illuminati e della stupidità di tutti gli altri ma non sapendo ancora fare la differenza ne chiede. Ne chiede sempre di più.
Eppure è questa sua foga, questo suo nudging inarrestabile, che me la rende necessaria. Considero ogni sua domanda uno sprone a superare me stessa, ad andare oltre la prima linea di idea, la prima percezione degli eventi, la prima descrizione delle possibilità.
Agisce come i perché dei bambini. Che nel chiederti di spiegargli i fenomeni più banali ti costringono a riflettere su quello che non sai e su quanto inadeguato sia che tu ti metta in punta di cattedra. Chi continua a indagare, impara. Chi pensa di poter insegnare, resta indietro. Sempre.
Non potevo saperlo mentre registravo la mia nota vocale sul tema. Non lo sapevo neanche quando, parlandone con un’amica in metro, ho detto baldanzosa: sarà il tema della mia prossima newsletter. Ma Google stava per presentare al Super Bowl un commercial con un insight molto simile.
Frammento #05 | la gioia procurata.
Quello che accomuna la scrittura e la lettura mi appare sempre più come un tema di solitudini. Adagiate sulla carta, quando ci si esprime. Retrocesse a superficiali incomprensioni quando si legge. Ogni parola traduce un senso personale di mondo che uscendo allo scoperto incontra la visione universale. E quando coincidono, anche solo per pochi millimetrici lembi di pelle, creano un immediato senso di appartenenza. La certezza che c’è qualcosa nelle cellule che portiamo a spasso che ci rende più che simili. Nel profondo.
Il messaggio ricevuto da Gibbo & Lori e pubblicato sul loro profilo LinkedIn commuove.
Non ho avuto il coraggio di confessargli che mia madre aveva avuto la stessa reazione, e che quando me l’ha mostrata, quella reazione, li ho invidiati. Ma come si invidia uno che sa suonare il pianoforte da Dio e un po’ di invidia se la merita; non per il virtuosismo tecnico ma per la capacità di procurare gioia. Che è quello il senso che dovrebbe essere implicito in ogni esecuzione. La gioia procurata raggiunge vibrazioni più intense di quella provata.
Frammento #06 | le parole di Bill.
Sto ancora spolpando l’osso delle mie esistenze precedenti. Lo faccio rileggendo vecchi libri, scovando etichette di vini e cartoline mai spedite. Mettendo in ordine o semplicemente provando a far scomparire indizi e suggestioni. Bill, un’idea di pubblicità, nel suo numero di Luglio 2013 (euro 8) ha in copertina Roberto Saviano. La sua faccia tratteggiata a matita campeggia sul Mediterraneo, bacino di rotte clandestine e di scambio abusivo di merci non sempre identificate.
Dentro ci sono altri frammenti, come fossero emersi da un gioco di specchi. Sono le parole dell’uomo a cui si deve il nome della rivista e molto, molto altro. Bill Says riporta a galla le citazioni del maestro Bernbach date alla stampa nel 1991 dall’agenzia Verba DDB Needham a celebrazione della sua fondazione in Italia. E uno di questi frammenti mi parla.
Frammento #07 | a chiare lettere.
Non avendo più un ufficio fisso ho rinunciato alle stampe selvagge. Quando mi serve un artefatto fisico continuo a scrivere, con la mia Olivetti Lettera 32. Come ai vecchi tempi, che non erano i miei ma è come se lo fossero. La macchina da scrivere ha il pregio di richiedere uno sforzo fisico. La scrittura torna ad essere materica, e l'errore richiede spesso di ricominciare. E all'occorrenza di scrivere meglio. L’odore della custodia poi è una capsula del tempo. Riporta a cassetti pieni di lenzuola di lino e camicie da notte. È rancido per via delle macchie gialle di muffa. E per lo stesso motivo è vivo, appartenuto a mille insistenze prima della mia. Prima di iniziare a scrivere, la mia mano la richiude quasi senza che il mio cervello se ne accorga, è un istinto che preserva la conservazione e la sopravvivenza dei ricordi.
Frammento #08 | le vecchie agende.
Un giorno devo aver deciso che valeva la pena appuntare una sintesi della giornata, il ricordo di un pensiero che poteva tornarmi utile dopo, a ricordarmi viaggi già intrapresi, finali già scritti.
Era il 2019. Ho smesso in fretta, la costanza non è mai stata il mio forte.
Frammento #09 | la canzone dell’addio.
Quando è toccato a me, dire addio a un luogo fatto di persone, ho scelto Thanks for the Dance di Leonard Cohen perché stava in un disco che era un ragionamento musicato sul senso della vita nell’unico momento in cui è sensato farlo: quando stai per morire.
(ammesso che sia davvero lui, qui, su Substack), che ha lasciato la conduzione di Morning de Il Post alla 899esima puntata, ha salutato tutti con A Place in the Sun del giovanissimo Stevie Wonder.‘Cause there’s a place in the sun
where there’s hope for everyone
where my poor restless heart’s gotta run
There’s a place in the sun
And before my life is done
Gotta find me a place in the sun.
E allora, così, puoi far finta che è un arrivederci. Puoi fingere di esserci capiti. Che proveremo a non sentire la nostalgia. Che porteremo a memoria i tormentoni per tirarli fuori all’occorrenza. E che impareremo ad essere felici per la libertà. Anche quella degli altri.
Mentre mi accontento dei frammenti mi dedico una promessa: scoprirò un giorno che i soldi non sono un buon motivo per svendere i beni di famiglia, i tesori personali. Impagabili, irripetibili. E quel giorno saprò quali sono stati i momenti in cui ho vissuto davvero e riconoscerò le date di quelli in cui ho fatto buio quando poteva esserci luce.
Perché mi faccio queste promesse?
Perché sto prendendo le misure con una vita tutta nuova.
E per ora l’unica cosa che so è che si muove, come il pendolo raccontato da Baricco nelle citate Lectures, tra l’agognata perfezione e l’imperfetta vita vissuta.
Ora, sembra che io salvi vite. Ma no, sono solo una creative strategist e una copywriter. Freelance. Se vuoi saperne di più, puoi leggere le mie parole accompagnate dalle mie foto o semplicemente scoprire cosa ho fatto nella vita (e capire quante cose ho da fare ancora).
In copertina. Sunday Morning.
Tratto PEN su carta usomano.
"La prima newsletter che ho condiviso con qualcuno che amo". Mi è difficile immaginare, per le parole che scrivo, un risultato più bello: non solo che ad almeno una persona piacciano e dicano qualcosa, ma che voglia addirittura condividerle con qualcuno che ama. In particolare, poi, quando leggo "ho riso tanto" è una soddisfazione enorme. Grazie.